di Giuseppe Mapelli
Quando si affronta un argomento ed un mondo così complesso come la pesca sportiva bisogna necessariamente entrare in un'ottica particolare attingendo ad una lunga esperienza di vita in cui i ricordi, positivi o negativi, hanno un ruolo determinante.
Questa passione si trasmette da padre in figlio, da amico ad amico e a volte è così incredibilmente coinvolgente da portare a trascurare tutto il resto. Non sono stati pochi i pescatori che hanno avuto problemi in famiglia o sul lavoro per procurarsi ritagli di tempo via via sempre più grandi da dedicare allo sport preferito.
Se prima degli anni ottanta le catture potevano giustificare qualche cosa nel bilancio domestico di una famiglia, oggigiorno questo “alibi” è caduto: sempre meno il pescato viene consumato in casa se non utilizzando specie pregiate sempre più rare (alborelle, vaironi, trote, persici, tinche ecc.)
Ma allora, perché le faticate pesanti, autentici sacrifici legati a levatacce insensate, di ore alla guida, di giornate passate a volte sotto un sole implacabile o con un tempo infame, non scalfiscono questa dedizione?
Non va inoltre trascurato l'impegno finanziario che questa pratica ormai comporta. Tralasciando a priori la necessità di disporre di attrezzature sempre più aggiornate e costose da parte dei pescatori garisti di un certo livello, anche per i colleghi normali il conto è a volte pesante qualora la pratica si svolga con frequenza, con pastura, esche, benzina e tutto il resto.
Abbigliamento ed accessori vari presentano periodicamente il conto: stivali lunghi o corti, giacconi, calzettoni, maglie, magliette, maglioni, berrette “firmate”. Non parliamo poi degli occhiali da sole: devono essere antiriflesso, ci mancherebbe altro!
Le canne poi sono diventate ormai un mondo da fantascienza. È passato più di un secolo dall'uso del bambù ed il progresso del settore è stato incredibile, specialmente dopo l'avvento dell'utilizzo della fibra di carbonio. La necessità di ridurre il peso dell'attrezzo, in modo particolare sulle misure più lunghe (oltre gli otto metri per le canne fisse), ha innescato sul mercato una ricerca frenetica e costante che ha tuttavia dovuto fare i conti con il discorso dei costi.
Le vecchie e care canne Daiwa, Garbolino, Lerc e tante altre marche, legate ai racconti di grandi catture da parte dei pescatori più anziani, sono ormai relegate al mondo dei ricordi ed alla nostalgia.
Non parliamo poi dei mulinelli... Su questo attrezzo molto importante l'evoluzione è stata stupefacente, sia dal punto di vista della qualità ma soprattutto delle prestazioni. Determinante tuttavia è l'abilità di chi lo sta usando. Non è sufficiente disporre di un attrezzo costosissimo, ma bisogna sempre interpretare le reazioni caratteristiche di ogni specie di pesce: ognuna dà una risposta diversa al tentativo di cattura ed alcune sono abilissime.
Le savette, per esempio, sembrano avere tutte le abilità difensive di tutti gli altri pesci messi insieme. Si parla ovviamente di esemplari oltre gli ottocento grammi di peso. Un tempo questa specie era presente nei grandi fiumi in branchi enormi, anche perché questo pesce ha sempre avuto scarsa considerazione in cucina. Negli anni novanta una forte ed inspiegabile moria ha drammaticamente falcidiato questi ciprinidi. Ora la specie è in leggera ripresa, tuttavia è impensabile che si possa raggiungere la consistenza di un tempo.
Tornando a parlare dei mulinelli, come non ricordare marche come l'Alcedo, il Cargem, la serie Abu coi modelli Cardinal e poi il Crack, autentico killer per la pesca alla trota, o alla casa Mitchell con la sua gamma leggendaria, nella quale il modello 300 era diffusissimo, come pure il piccolo, perfetto 408 ancora oggi usato.
L'arrivo sul mercato dei prodotti giapponesi, Shimano in primis, ha avuto un effetto commerciale notevole. Con le linee di prodotti presentate su splendidi cataloghi annuali le più importanti aziende del settore mettono ora a disposizione degli appassionati un grosso rompicapo qualora si debba scegliere l'articolo più adatto all'uso che se ne deve fare.
Non parliamo poi dei monofili... Sono passati secoli dall'uso del crine di cavallo. L'evoluzione dei materiali in questo settore è stata a dir poco incredibile. Generazioni di pescatori hanno affidato le loro fortune al mitico Platil, molto economico ma affidabile quando la bobina era fresca. Eccezionali le prestazioni del Super-mi-mi-cri, quindi del Trilene, Smart, Kroic, Damyl ecc.
Qualora poi si volesse affrontare un argomento come gli ami da pesca non si saprebbe sinceramente da che parte cominciare se non dal considerare che ogni tecnica di pesca, ma soprattutto per quasi ogni tipo di pesce, il mercato mette a disposizione l'amo più adatto: sono centinaia.
I pescatori stessi, in modo particolare i garisti, diffondono inconsapevolmente nell'ambito sportivo i nuovi tipi di ami, sulla base ovviamente dei risultati in gara, degli orientamenti sulle scelte o delle preferenze.
Determinate è stato l'utilizzo di tecniche modernissime di affilatura chimica soprattutto dell'utilizzo di nuovi materiali innovativi.
Risparmiamo consapevolmente l'enorme elenco della varietà di tipi di uncini da pesca, non si può tuttavia dimenticare l'immagine “romantica” di un tempo del pescatore di pighi con l'erba intento a ravvivare la punta degli ami dell'otto con la cote. Una volta era necessario fare così, specialmente con la pesca a fondo alle anguille o alle tinche.
In Italia la tecnica di pesca più diffusa è sempre stata la pesca a passata, per la quale l'evoluzione dei galleggianti è stata un autentico “labirinto”. Sono tantissimi i pescatori che tacitamente ormai li comprano solo per collezionarli.
Un tempo era il sughero il materiale più utilizzato, seguito poi dal legno di balsa, quindi dalla penna di pavone, dall'anima del sambuco, dalle “penne” d'istrice. Anche la plastica venne impiegata per centinaia di modelli. Le forme poi sono state le più disparate, diverse in rapporto all'utilizzo in acqua ferma o alla pesca in corrente più o meno forte.
Capitolo a parte è l'uso delle esche artificiali. Un gran numero di pescatori preferisce da sempre pescare in questo modo, seguendo l'evoluzione stagionale del comportamento delle loro prede (lucci, persici, trote e, ultimo arrivato: il siluro) preferendo una pesca itinerante a quella dal posto fisso, che richiede l'uso di pastura ed esche classiche.
Le aziende specializzate del settore mettono a disposizione una vastissima gamma di modelli di cucchiaini rotanti o ondulanti e imitazioni di pesciolini e dei loro movimenti.
Sono lontani i tempi in cui i primi lucenti cucchiaini si chiamavano Martin, Mepps, Abu aglia long, poi affiancati dai micidiali Rapala (e molti di questi artificiali sono utilizzati ampiamente ancora ai giorni nostri). L'accuratezza nella realizzazione dei dettagli di questi artificiali ha raggiunto una perfezione tale da essere diffusissimi a livello internazionale sia per la pesca in acqua dolce che in quella in mare.
Questo tipo di pesca ha però evidenziato un problema: nei nostri fiumi i lucci stanno calando di numero in modo preoccupante. Non bastano le notizie della cattura di qualche esemplare pur di notevole stazza segnalate ogni tanto.
Le semine effettuate saltuariamente dalle varie Amministrazioni Provinciali non hanno, almeno per il momento, risolto il caso. Il fatto è che sta sparendo l'habitat del luccio, una specie che per la sua riproduzione ha bisogno di acque limpide e tranquille. Condizioni sempre più rare in natura qui da noi.
Anche la più antica forma di pesca con la canna, la pesca a fondo, ha avuto un'evoluzione notevole nel corso degli ultimi decenni. Erano molti i pescatori che si dedicavano a questo tipo di pesca, svolta per la più durante le ore serali e notturne dedicate alla cattura delle anguille, un tempo molto abbondanti nelle nostre acque fluviali e lacustri.
Negli anni settanta però arrivò in Italia dall'Inghilterra una nuova tecnica che rivoluzionò completamente questo settore: la pesca a ledgering, con materiali mai visti prima, diffusi da pochissime aziende tra cui l'inglese Drennan.
In un primo tempo fu snobbata dai pescatori alla passata, ma in seguito questa tecnica prese via via sempre più piede: il mercato se ne accorse al punto di farne un importante riferimento commerciale.
Oltre ai pasturatori, in un numero svariato di tipi, sono state le canne da pesca a vedere uno sviluppo sempre più e sofisticato invadere i migliori negozi di articoli da pesca.
In Italia nacquero i primi club del settore. Questa tecnica ha anche il merito di riavvicinare alla pesca un gran numero di giovani pescatori attratti dalla semplicità e dalla resa, soprattutto barbi e pesci di grossa taglia, che il ledgering assicura; è forte la scarica di adrenalina che essa trasmette, è una sensazione che ti entra dentro e non ti abbandona più.
Una pesca per “puri” è quella con la mosca artificiale. Tecnica affascinante, con un alone particolare, quasi mistico. Tuttavia è praticata da pochi e non tutti questi seguaci sono in grado di fabbricarsi le mosche come accadeva un tempo con esiti stupefacenti.
Il grosso problema di questo settore è sempre stato quello di non disporre di tratti esclusivi di fiumi di pianura adatti, anche per l'inesorabile calo di presenza delle specie di salmonidi autoctone, non sostituibili con le sterili trote iridee.
Dopo questa rassegna amarcord sulla tecnica ed il materiale utilizzato nella pesca con la canna dalle origini ai giorni nostri è doveroso domandarsi: il pescatore di oggi ha conservato ancora l'immagine e lo spirito di un tempo? Quando l'alba imponeva levatacce infami ed il ritrovo con gli amici il preludio per una giornata fantastica, magari dopo viaggi un paio d'ore che neanche il tempo sfavorevole riusciva a guastare.
Qualcuno asseriva che i migliori amici si creavano durante il servizio militare o condividevano la passione per la pesca: era vero. Non erano solo le storie di catture a cementare le amicizie più durature. Più di una occasione è servita a confidare ad altri i problemi di lavoro, della famiglia, per uno sfogo liberatorio, con la necessità di parlare con qualcuno.
Anche l'approccio individuale a questo sport è sempre stato molto importante per la formazione del carattere. Prima di tutto lo spirito di osservazione, stimolato al massimo, è sempre cresciuto con l'esperienza: la cattura di un pesce “tosto” rappresenta la fase finale di un percorso, di un traguardo al cui esito positivo hanno contribuito vari fattori (anche il fattore “C” se vogliamo...) ma che trovano l'apice di soddisfazione nel momento del rilascio del pescato.
Il rapporto con l'ambiente naturale che circonda il pescatore se interpretato in modo corretto e conoscenza profonda esalta il momento che si sta vivendo. Osservare il volo degli uccelli, le increspature dell'acqua, decifrare le bollate, l'attimo fuggente della scomparsa del galleggiante, il sibilo del filo del mulinello al momento del recupero, la schiuma dello sbattere della coda, una foto e vai!
Tuttavia la realtà del giorno d'oggi presenta situazioni a volte sconcertanti, impensabili fino a pochi anni fa. L'inarrestabile diminuzione del plancton in lunghi tratti dei nostri fiumi ha sconvolto l'habitat. Molte specie di pesci sono in forte sofferenza numerica, sostituite da presenze sempre più dilaganti di tipologie alloctone che hanno tolto fascino alla pesca.
Sarà anche divertente, ma passare intere giornate sul Po a catturare solo barbi, barbi e ancora barbi europei, intervallati da qualche bestione “sconosciuto” (siluro?) evidenzia unicamente che la pesca si avvia a diventare piatta e senza senso. Di chi è la colpa dello stato attuale?
Le concause sono molteplici, non trascurabili le responsabilità degli Enti preposti alla tutela e integrità della fauna ittica. Non si è contrastato con serietà il degrado causato dall'inquinamento sia episodico sia strisciante, cioè di fondo. Per anni, troppi anni, si è “lasciato fare” chiudendo un occhio, senza tenere conto degli allarmi provenienti dal mondo della pesca. Le Associazioni dei pescatori sono sempre state considerate alla stregua di serbatoi cui attingere voti nelle varie vicende elettorali, per poi sparire e lasciare tutto come prima.
Episodi come quello del gravissimo, tragico inquinamento del fiume Lambro del febbraio 2010 evidenziano senza giri di parole il concetto che questo nostro povero, bellissimo paese è sotto la spada di Damocle di una classe di lerci speculatori impuniti. Non si dica poi, che si è già fatto tanto per rendere meno pesante la situazione: non è assolutamente vero! Nessuno della nostra classe politica di alto livello è in grado di gestire questo stato di cose semplicemente perché non si vuole conoscere fino in fondo ma soprattutto perché pochi hanno una vera formazione scientifica: e poi questo argomento non “rende”.
Basta vedere e rendersi conto delle grosse difficoltà in cui versano le forze di sorveglianza, impossibilitate a garantire un servizio degno di tale nome per la cronica mancanza di uomini e mezzi, proprio ora che bande di bracconieri provenienti dall'Est europeo imperversano impunemente su tutti i nostri fiumi di pianura.
Le buone leggi in Italia non sono mai mancate, ma il problema sta nel farle applicare in modo concreto e corretto.
Ed allora cosa si dovrebbe fare?
È importante un'inversione di tendenza da parte di un po' tutto il mondo della pesca. Rivedere l'approccio ai fiumi (ormai non possono più essere considerati dei pozzi senza fondo). Il rispetto delle poche regole che lo Stato deve essere ferreo e soprattutto serio.
Vantarsi come succede spesso di sentire, di catturare chili e chili di pesce protetto in periodo di divieto (vedi alborelle, vaironi ecc) non porta da nessuna parte se non verso situazioni irreversibili, perché questi atteggiamenti interferiscono in modo pesante nel giusto equilibrio della catena alimentare che un corso d'acqua o un lago devono avere nel loro ciclo di vita.
Sarebbe ora che nella convinzione di tutti, ma proprio tutti, entrasse il concetto che, andando avanti di questo passo a pagare per tutti siano proprio le creature che sinora ci hanno fatto più esaltare e “divertire”, le più umili e le più indifese: i pesci.